Parroco: Don Vittorino Corsini
Indirizzo : Via della Valle 66 37045 Legnago
Tel. 0442-20280 – Email : corsini.vittorino@virgilio.it
Chiesa della Madonna del Rosario
La chiesa della Madonna del Rosario in Torretta fu edificata tra il 1955 ed il 1961 in sostituzione di un precedente edificio di culto ottocentesco distrutto nel 1945 da un bombardamento aereo. La consacrazione risale al 10 giugno del 1961. L’edificio si presenta con facciata a salienti. Orientamento ad occidente. Campanile a tripla vela posto sulla falda di copertura meridionale, in corrispondenza del presbiterio. Impianto planimetrico di tipo basilicale a tre navate separate da due file di quattro pilastri; l’ultima campata della navata maggiore è occupata dal presbiterio, rialzato di un gradino e concluso con abside semicircolare. I prospetti interni sono intonacati e tinteggiati; le arcate a tutto che separano le navate, con ghiera in mattoni di cotto, si impostano su pilastri in c.a. con rivestimento in lastre di marmo; le pareti che concludono le navate minori sono decorate con pitture murali; piccole finestre centinate si aprono lungo il settore superiore delle pareti d’ambito. Navata maggiore e navate laterali sono coperte da solai piani in latero-cemento. Copertura a due falde (ad unico spiovente lungo le navate minori) in latero-cemento con manto in coppi di laterizio. L’aula presenta una pavimentazione “alla Palladiana” con scaglie di marmi policromi; il piano del presbiterio è caratterizzato da un motivo geometrico in marmo rosso Verona e marmo chiaro di Botticino.

Una Via Crucis Colorata
La chiesa di Torretta si erge, solidaria, custode e simbolo delle Grandi Valli . Custode di un territorio vasto che, ormai ultimo sopravvissuto nel Veneto all’avanzare spezzo selvaggio dell’urbanizzazione, mantiene il fascino della sua rete di canali e delle estese compagne . Simbolo dell’isolamento di una pianura la cui storia si perde nei millenni e, col suo richiamo alle forme romaniche, collegamento ad uno dei periodi storicoartistici più affascinanti della cultura italiana
Mentre svolgevo queste considerazioni su Torretta e la sua chiesa col Parroco Don Vittorio Eminente e col Sindaco di Legnago Silvio Gandini, subito dopo una cerimonia religiosa del 1 maggio 2005, è nata l’idea di una Via Crucis da porre all’interno della Chiesa. “Mettiti al lavoro” – mi ha detto Don Vittorio e quando l’opera sará pronta, qui troverà la sua giusta collocazione.
E cosi, durante l’estate 2005 ho realizzato le 14 formelle della Via Crucis.
Dovevo decidere se lasciare la terracotta grezza, se usare un unico colore o Scegliere la policromia, Ho optato per quest’ultima soluzione perché mi sembrava rispondere meglio alle esigenze sia di rendere più coinvolgente ed immediata la fruizione del messaggio, zia di vivacizzare l’interno della Chiesa, sia di attribuire dei simboli ai colori stessi.
Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, i colori forti e vivaci sono stati scelti per sottolineare che il percorso di sofferenza di Cristo e la sua morte hanno dato all’uomo la speranza della salvezza e la gioia dell’esistenza. I colori dominanti sono l’azzurro dell’acqua e del cielo, il verde delle colline e della vegetazione, il marrone degli alberi e della terra. Accanto a questi colori, simboli di elementi positivi quali la vita che scorre, la speranza e la gioia dell’esistenza, ce ne sono altri che ricordano che la vita è intrisa anche di sofferenza e di male: il giallo ocra che ritrae la divinità in balia del giudizio degli uomini (Panzio Pilatok), il bianco dei soldati e delle loro armi portatrici di morte .
Tutte le stazioni della Via Crucis, tranne la prima, zono ambientate all’esterno, dove una natura lussureggiante sottolinea per contrasto, l’assurdità di una condanna a morte che, al tempo stesso redentrice, la presenza della palma, simbolo sia di passione che di vittoria, sottolinea in ogni stazione questo significato.
Nella prima stazione, che raffigura Cristo condannato da Pilato, l’ambiente del tutto ostile è evidenziato sia dal colore gialle ocra, sia dall’ambiente non naturale, ma umano: il palazzo del governatore rumano bassorilievi, dalla prima all’ultima stazione, si fanno sempre più spessi trasformandosi in altorilievi, quasi a sottolineare l’acutizzarsi della sofferenza del Cristo sempre più forte ed insopportabile, e la contemporanea maggiore vicinanza di Cristo all’uomo.
Il mio augurio e che il fedele o il visitatore della Chiesa di Torretta colga questi messaggi e si sento rincuorato nel suo cammino.
Per concludere, un sentito riconoscimento va agli amici di Don Vittorio Eminente che hanno progettato e realizzato le cornici e il libro su Torretta, mentre un grazie particolare va allo stesso Don Vittorio che ha valuto nella sua Chiesa la mia opera.
Luigi Bologna.














Torretta nel cassetto
Tirare il cassetto delle care cianfrusaglie: un’azione comune, dietro la cui banalità può, però, nascondersi la straordinarietà di un evento che solo alla memoria umana è dato di realizzare: ri – creare il passato, farne ri – vivere le situazioni e le emozioni. Tirare un cassetto e ripescare vecchie foto: questo abbiamo proposto alla gente di Torretta, perché la mano e lo sguardo fermi su un’immagine facessero scaturire un rimando al sapore e al calore del “tempo che fu”. Quei vecchi cartoncini sciupati e sottili sono stati prestati per il tempo necessario ad essere ri prodotti in modo da durare di più, e bene in grande, rinunciando cosi, divisi tra compiacenza e rammarico, a monopolizzare “care memorie” per metterne a parte chi, condividendo terra, chiesa, piazza e fiume di questo paese, ha maturato il diritto ad essere coinvolto nella sfilata dolceamara di visi, luoghi, situazioni, gesti di un tempo.
Ognuno di noi possiede una figura smisurata giacché si porta addosso tutto il suo passato e questa figura continua ad ingrandirsi fin tanto che egli vive e fin tanto che gli attimi del suo presente si trasformano in “passato memoriale”. Ne è risultato un breve viaggio alla Ricerca del Tempo Perduto che copre il lungo arco dalla fine del secolo XIX agli anni ’60 del 1900, durante il quale è stato realizzato una sorta di “mosaico collettivo” le cui preziose tessere sono risultate da un misterioso e sapiente impasto di emozione sentimentale, tempo e memoria. E alla fine il Tempo è stato Ritrovato, giacché, stando alle parole di Hippolyte Taine: “ogni immagine, occupando un frammento del tempo, possiede due capi, uno contiguo al passato, l’altro all’avvenire” (da De l’intelligence).



Cenni Storici
a cura di Don Vittorio Eminente
“In principio, circa 3 milioni di anni fa, a causa di uno sprofondamento del sottosuolo le acque del mare coprirono le terre. Si originó la depressione del bacino dove sarebbe sorto il mite e benefico Tartaro tra l’irruente Adige ed il placido Po. Un tempo lunghissimo formò le nostre valli, paludose e boschive, abitate da animali (orsi, mammut, ecc.) ora scomparsi. Ultimo giunse l’uomo, lontanissimo dal luogo (Africa) e dal tempo della sua nascita (1 milione di anni fa).”
Con queste parole potrebbe iniziare la “Cronachetta” di un anonimo autore che si fosse cimentato qualche secolo fa a raccontare la storia di Torretta. Per quanto immaginifiche esse servono, comunque, a ben inquadrare la posizione geografica e amministrativa occupata dal nostro paese che del territorio posto tra Adige e Po, alla confluenza delle tre province di Verona, Rovigo e Mantova, ha condiviso la storia e la cultura a partire dalla lontana età del bronzo, quando i primi insediamenti umani interessarono anche i pale o alvei del corso inferiore dei due grandi fiumi tra intricate boscaglie e vaste distese di paludi.
I FATTI
Il territorio nel quale Torretta è inserita, durante l’Età del Bronzo, era essenzialmente coperto da foreste e paludi, mentre presso i corsi d’acqua, numerosi e controllati a fatica dall’uomo, in corrispondenza di rialzi e dossi sorgevano villaggi di palafitte con capanne di paglia e fango. Attorno ad essi, campi di cereali e di lino, colture di fagioli e di viti, e infine pascoli nelle zone più prossime alla foresta. Si tratta di insediamenti appartenenti a civiltà preromane, quali la Paleoveneta di Ateste (Este) prima, e la Villanoviana ed Etrusca di Adria poi, le quali aprono il nostro territorio verso il 1300-1100 a.C. ai primi rapporti commerciali con le popolazioni del Nord Europa, attraverso il hacino del Garda, e con quelle del Mediterraneo Orientale, attraverso l’Adriatico.
Due sono le testimonianze più importanti in questo senso, databili intorno al secolo XII a. C.: la necropoli posta nel fondo Paviani e quella sita in località Franzine, abitate da varie genti Euganei, Atestini, Galli (ritrovamento di una spada gallica a Torretta) Etruschi intrecciatesi tra loro.
Il territorio in cui Torretta si trova inserita conosce la conquista e la progressiva integrazione amministrativa e socio-economica nello stato romano a partire dall’epoca d’oro dell’età repubblicana, tra il III e il il sec. a.C.
Si tratta di un periodo di considerevole “vitalità economica” che in campo agricolo conosce la colonizzazione centuriata dell’agro romano (campi suddivisi in grandi quadrati di 710 m. di lato) con sviluppo di colture cerealicole e allevamento di bestiame, con la conseguente produzione di carni e formaggi. In campo artigianale, la zona conosce la produzione di strumenti agricoli e materiale da costruzione, in particolare legname e laterizi; in campo commerciale, la promozione della vendita dei prodotti summenzionati lungo direttrici fluviali e stradali che in questo periodo conoscono uno sviluppo considerevole.
La vicina Ostiglia è un importante nodo stradale, e sicuramente una via secondaria che passando per l’attuale Castelnuovo Bariano e attraversando le Valli all’altezza di Torretta (uno storico parla di “paludes Tartari”), la univa alla ben più importante direttrice Verona-Montagnana.
Stamo arrivati alla famosa deviazione del corso del fiume Adige passata alla storia come la Rotta dello Cucca, dal nome di una località di Veronella.
Tale rotta, avvenuta nell’autunno 589, sconvolse l’aspetto idrogeologico del nostro territorio in modo cosi violento e apocalittico da modificare radicalmente il corso del fiume che prima scorreva lungo l’asse Montagnana-Este e che alla fine si inalveò nel letto di un piccolo fiume detto Fossone o Chirola andando ad assumere il
percorso definitivo ancor oggi mantenuto senza sostanziali modifiche lungo l’asse Legnago Badia Polesine – Rovigo. Tutta la zona del Basso Veronese e dell’Alto Polesine si trasformò in un’immensa palude, utile ostacolo naturale tra le terre del nuovo Regno Longobardo in Italia e l’Esarcato bizantino di Ravenna. Qua e là affioravano banchi di sabbia e poche terre sopraelevate ancora coltivabili, particolarmente a ridosso del nuovo corso del fiume. Ed è sicuramente su una di queste terre sopraelevate, ed in prossimità di un’ampia zona golenale, che cominciò a formarsi l’insediamento abitativo di Torretta la cui vita organizzata andò via via sviluppandosi in stretto collegamento con quella di Legnago.
Tra i fiumi Adige e Tartaro, alla fine del X secolo, estese la sua giurisdizione l’Abbazia della Vangadizza di Badia Polesine, monastero benedettino-camaldolese che per alcuni secoli ebbe un’influenza notevole sull’intero territorio. Ebbero inizio cosi le prime grandi opere di bonifica su una zona quasi interamente coperta da boschi, paludi, valli da pesca, pascoli e terre incolte e sterili. Ma nonostante la buona volontà ed gli sforzi profusi, la bonifica durò poco e le acque straripanti dell’Adige continuarono a farla da padrone.
In questa desolazione unica realtà viva rimane il Tartaro: nasce a Povegliano, scende a Ponte Molino, dove riceve il Tione, si inarca a nord, e poi si mantiene ad equa distanza tra i due maggiori, Adige e Po: Non è nome infernale ma denota la presenza di cristalli di carbonato di calcio che rende le acque biancastre”
Si può supporre che verso la fine del 1300 su una piccola isola di terra nel luogo che poi sarebbe stato denominato Torretta sorgesse un edificio costruito per difesa militare e per riscossione del “dacio”.
Il primo documento che ne attesta ufficialmente l’esistenza è una lettera datata 1445 del doge Francesco Foscari che comunica al vicario di Legnago di pagare le spese per i lavori sostenuti nella riparazione della “Croxeta” o “Croseta”. Qualche anno prima la Duchessa di Milano Caterina Visconti aveva concesso alla comunità di Legnago una valle intera composta di “campi villici” sino alla Ripa del Tartaro.
Nel corso dei secoli XIII e XIV il territorio, in quanto zona di confine, fu pure interessato dalle mire espansionistiche, prima degli Scaligeri di Verona e degli Estensi di Ferrara, poi dei Gonzaga di Mantova e della Serenissima Repubblica di Venezia, sotto il cui dominio alla tine si assesto.
Il fiume era confine naturale di varie città indipendenti e sempre in lotta: Milano, Venerzia, Ferrara, Verona, Mantova. Le guerre abbandonavano come le “zanzale” sulle paludi!
Una testimonianza tra tutte: “Nell’anno 1482 principió la guerra fra la Signoria di Venetia e il duca Hercole, duca di Ferrara ()”. Giunto a Melara “ghe venne la lettera come il Duca di Calabria (suo alleato) avea tolto la Croxeta e preso 100 barche, le quali erano in Tartaro vegnendo a Castelmovo.”. E la guerra si concluse con il passaggio del territorio a nord del Po a Venezia.
Ma l’estensione del suo dominio destò la preoccupazione degli stati confinanti che si riunirono in una lega per risolvere gli affari al solito modo. Un episodio che tocco la nostra piccola storia viene raccontato da un certo capitano generale ser Antonio Bondimer e riguarda la riconquista della nostra torre da parte dei veneziani: “partendo da Zello, zonti a presso la Croseta, a zerca mezo melo, vicinati li nostri soldati al castello con grandissimo animo se messono dentro dove erano omeni 7 francesi, li quali furono fatti presoni”. Seguirono alterne vicende, ma Verona e il suo territorio rimangono sotto il territorio di Venezia.
Ma perché al quel robusto ed isolato edificio che le mappe ci conservano venne dato il nome di Croseta o Crousera? Una carta topografica militare degli anni 1479. 93 raffigura tre fossi: Menago, Nichesola, Rifusa confluenti in un unico sito dov’era sorta già da tempo una costruzione. In questo incrocio sta l’origine del nome? Nella stessa carta è detto che il Nichesola era una “fossa che fexe far el duca de Milan”, forse Gian Galeazzo Visconti signore di Verona tra il 1387-1402, e del quale pure s’è trovata una moneta. 11 Nichesola fu poi interrato.
Ha iniziato, dunque, il dominio di Venezia che apportó sostanziali innovazioni sia dal punto di vista politico – amministrative che da quello territoriale. Intanto la rotta di Castagnaro nel 1434 “cagiono gravissime rovine”, inondazioni che si ripeterono ad ogni piena dell’ Adige e che ridussero le valli ad una sconfinata palude che raggiunse la massima estensione ed intensità nel XVII secolo.
La Serenisins profuse nel nostro territorio tutta la sua esperienza in fatto di gestione delle acque, e attraverso figure istituzionali quali i Magistrati delle Acque, i Provvediouri ai Beni Inculti ed i Retratti attuò una preziosa opera di ordinamento idraulico del sistema fluviale Adige – Castagnaro – Canal Bianco che garanti la bonifica e rifunció l’agricoltura.
Naturalmente le terre bonificate divennero proprietà dell’ aristocrazia veneziana che le governo con atteggiamento paternalistico, ottenendo il favore di una popolazione profondamente cattolica anche attraverso lasciti e favori verso le chiese locali.
Risale alla seconda metà del 500 la prima coraggiosa e felice seminagione in campo aperto del sorge turco o granoturco, proveniente dal Nuovo Mondo come la patata. Nelle nostre campagne si afferma cosi il sistema dei tre campi, due dei quali a frumento, l’altro a mais (o eventualmente ad altri cereali quali orzo, avena, sorgo) separati da filari di “vite maritata”, la tradizionale piantata
Nel secolo XVI la nostra terra “si va sempre più disabitata e ha molti siti senza fabbriche e molte case senza persone”. In compenso, dopo i soldati non mancano i banditi per cui si “domanda autorità di metter taja perché i malfattori vien li a li confini (…)”. Per Torretta questa situazione significa alla fin fine una perdita del ruolo militare e uno scadimento della struttura.
Resta il controllo daziario sui traffici commerciali interstatali. Come si svolgeva? Una “palata” costringeva le imbarcazioni a fermarsi al “Passo del Bastion de la Croseta”; quindi l’ufficiale preposto registrava nella “cedula” (piccolo registro) l’avvenuto pagamento del “dacio” e forniva al trasportatore la “bulleta” di transito. Lana “lava e susa” (tosata); panni grixi (grezzi); lino e tanti, tanti” chapuzi”, metalli e vasellame: questi i prodotti oggetto delle transazioni commerciali soggette al pagamento del dazio.
L’attività fu molto intensa nel 1400-1500, poi andò via via diminuendo.
Non mancano documenti che attestano la piaga del contrabbando (castellane, tu invenisti (hai trovato) unum contrabanum”), che parlano di inseguimenti nelle contigue acque ferraresi, che narrarono di interventi protettivi a favore di contrabbandieri forniti di armi.
Riguardo a ciò, è interessante notare come un podestà di Verona proibisca ai ferraresi di tenere ad usare “aliquas arellas”, cioè alcuni graticci per la pesca nelle acque del Tartaro, Risale a quest’uso il nome della contrada Arella?
A purtire dal 1981 attorno alla base della famosa Torretta furono ritrovate numerose ceramiche, forse abbandonate, forse sequestrate, forse proprietă personali e familiari di qualche castellano, e che oggi si offrono in tutta la loro varietà di forme e di colori, alla nostra ammirazione nel museo di San Pietro Polesine Ecco il nome di alcuni castellani:
Gregorio della Longara da Vicenza 1455-57: Il figlio Francesco 1462-72, con moglie e figli gran cacciatore di malfattori e di affari; Bartolomeo da Siena 1480-1500.4
Per l’antica Croxeta – bel nome dal dolce sapore veneziano e in seguito denominata Torretta – cominciò la fine con la fine di Venezia come potenza italiana ed europea.
Da ricordare, infine, che nei primi anni del 1700 il territorio tra Legnago e Badia Polesine fu coinvolto nella guerra per la Successione al trono di Spagna. Il conflitto, che si protrasse per ben 13 anni, vide fronteggiarsi, da un lato, la Francia di Luigi XIV e la Spagna di Filippo V d’Angio (nipote dello stesso Re Sole), designato come legittimo erede dal predecessore Carlo 11 d’Asburgo, e, dall’altro, Austria, Baviera e Savoia, a cui si aggiunsero successivamente Inghilterra, Olanda, Svezia e Danimarca. Proprio durante questa guerra, il 9 luglio 1701, si combatté la Battaglia di Carpi dalla quale risultò vincitore lo schieramento austriaco-tedesco e savoiardo guidato da Eugenio di Savoia che con le truppe provenienti dalla Lessinia attraverso l’Adige proprio nei pressi di Villa Bona e attacco vittoriosamente le truppe franco-spagnole dislocate tra Legnago e Castagnaro.
In seguito al trattato di Campoformio anche Torretta passa sotto il dominio austriaco.
Dell’attività di quest’ultimo, esemplare sotto l’aspetto amministrativo, vale la pena di ricordare che il 10-09-1854 il maresciallo Radetzky, governatore del Regno Lombardo-Veneto, dispose con Atto di Imperio il regolamento per i lavori di bonifica della Valli Grandi gravitanti attorno alla Fossa Maestra nella quale affluissero le acque territoriali.
Nel 1823 il suo territorio conosce la paurosa rotta dell’Adige, in seguito alla quale si dimostra per l’ennesima volta l’inaffidabilità del canale Castagnaro, che soli pochi anni dopo (1838) verrà stabilmente interrato.
Intanto , cessato per la piccola torre di guardia il suo uso, essa venne abbandonata e dimenticata.
Messa all’asta il 20 aprile 1831, venne comprata per 112 lire austriache da tale Agostino Emmanuele che la rivenderà a Carlo Verzola. L’isolotto su cui sorgeva venne, in seguito, incorporato all’argine del fiume Tartaro, ed infine la costruzione viene abbattuta sino al suo basamento attorno al quale, ultimo dono, ha conservato il suo tesoro di maioliche.
Dopo aver segnato per alcuni decenni una strategica e salvifica linea di confine per tanti patrioti veronesi, il territorio di Torretta entra a far parte del nuovo Regno d’Italia, di cui si trova a condividere nel bene e nel male tutte le vicende.
Alle piaghe della miseria e della pellagra, si vennero ben presto ad aggiungere le gravi calamità delle due guerre mondiali.
1 “inutile strage” (Papa Benedetto XV) rappresentata dalla f guerra mondiale reclamó Picchi Vittorio, al quale “regalo” una ferita ed un tumore mortale, e Pichi
Giuseppe.
L’ahrettanto “inutile strage” della II” guerra mondiale rubo gli anni migliori di: Picchi Antonio; Noni Umberto, detto Diez e ritrovato semiassiderato nel Canale d’Otranto due giomi dopo l’affondamento della nave che stava traghettando le nostre truppe verso l’Albania, Noni Onorio, ritomato dalla Campagna di Russia con i polmoni irrimediabilmente offesi, Lonardi Leonello e Picchi Arduino, spediti in Russia; Brombin Mario e il nipote Silvio, quest’ultimo tracidato a Villabartolomca dulle squadracce fanciste, Gatto Vittorio e il cugino Angelin, quest’ultimo fu catturato e torturato nei locali delle scuole elementari di Bergantino in quanto partigiano
Riuscì a salvarsi grazie all’intervento del Dottor Vallini che lo dichiaro “moribondo”.
Nel centro di Villabartolomea si possono ancora leggere queste parole impresse su una lapide posta accanto al Teatro Sociale.
Perché il popolo non dimentichi e mediti
Qui vittime di nazista barbarie e fratricida tirannide caddero :
CAVAZZONE GINO
BROMBIN SILVIO
RONCATI DARIO
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l giorno 01/12/1944.
Massimo insulto al dovere, alla giustizia, alla vita
Non copra il Tempo l’umana infamia.
Il giovane Brombin Silvio era di Torretta
E assieme a questi tre giovani furono trucidati dagli italiani dell’Italia Fascista
100,000 libici
300.000 etiopi
100.000 greci
250.000 jugoslavi
(dati tratti da “L’eredità del Fascismo” documentario della BBC Gran Bretagna 1988-mai trasmesso in Italia)
E’ l’epilogo storico di uno dei tanti paesi di campagna di un’Italia ancora per molti versi contadina che si affaccia al primo boom economico dei primi anni ’60 e al consumismo della nostra attuale società del benessere. Un’Italia rurale che letteralmente scompare nel breve arco di un trentennio. L’economia e la società della località di Torretta si fonda ancor oggi sull’agricoltura por modificata nelle sue strutture rispetto al passato . 4
La “Torretta” non esiste più, ma il suo nome è rimasta ad avvolgere di antico quattro case all’ombra (solenne) di una chiesa ed a sperare un futuro di rinnovata importanza; storia che qualcuno di noi scriverà tra qualche secolo.
Ora le acque vigilate dal Consorzio Valli Grandi scorrono pacifiche nei loro fossi e le terre sorridenti abbondano di messi e di canti .









